Per i tanti che seguono le mie pagine social, il tema della felicità non è nuovo proprio perché ne ho parlato qualche giorno fa in una delle stories di Instagram. Questo articolo infatti prende il via da un libretto che ho acquistato intitolato “Meglio essere felici”, tratto da una conferenza che il sociologo Zygmunt Bauman tenne in Italia qualche anno fa. Il presupposto dal quale Bauman parte è il riflettere sul fatto che la “felicità” è qualcosa che tutti noi ricerchiamo, tanto da poter ammettere senza troppe esitazioni che è sicuramente meglio essere felici che infelici, ma che, a parte questo primo assioma, ci ritroviamo tutti spaesati e di certo non concordi nel definire univocamente una definizione di “felicità”.
La felicità secondo voi
Mentre leggevo questo libretto infatti, in una delle mie stories, vi ho chiesto cosa fosse per voi la felicità e le risposte che mi sono arrivate rimandavano alla famiglia, alla salute, allo stare senza ansie e preoccupazioni.
Qualcuno, più nello specifico, mi ha scritto: “mangiare insieme alla persona a cui voglio bene”, “sentirmi in pace con me stessa e con il mondo”, “trasformare un problema in opportunità”, “avere un lavoro”, “la presenza degli amici”, “’l’appagamento emotivo”, “quando la consapevolezza di ciò che siamo è accettata”, “essere me stesso”, “amare, essere amata, stare bene con le persone e con me stessa”, “vedere i figli sereni”, “essere in equilibrio”, “quando salute, lavoro, famiglia, amicizia, ed eventuali sogni nel cassetto sono realizzati e allineati”.
Qualcun altro mi ha parlato di “attimi” di felicità: un bagno caldo, ascoltare la canzone preferita, un “ti amo” detto con il cuore, il sorriso di chi si ama, “le domeniche d’inverno in pigiama”; un film, un abbraccio. Potete constatare voi stessi quanto le risposte siano diverse, tutte, direi, condivisibili, ma ognuno di voi ha dato, per la sua storia personale, più importanza a un elemento che ad un altro nel descrivere il suo significato di “felicità”.
Due visioni opposte
In quella conferenza Bauman, cercando di giungere ad una definizione di questo “stato”, ipotizzò due diversi significati:
– uno è quello di felicità come assenza di ansie, preoccupazioni, problemi, disagi e ostacoli,
– l’altro, opposto, è nel vedere la felicità non come assenza di ostacoli ma come superamento di quegli stessi ostacoli.
Il principio di piacere non è eterno
Cita poi Freud, che nel riflettere sul “principio di piacere e di realtà” c’ha speso la vita, e considera come per Freud pensare di vivere nello stato di piacere (condizione necessaria e fondante nell’infanzia) non sia proprio possibile perché crescendo tutti noi, chi prima chi dopo, ci scontriamo con il “principio di realtà”, ovvero con la durezza della realtà che non sempre ci coccola e ci protegge ma che a volte ci dà delle belle botte sui denti. Questo lo impariamo fin da piccoli quando vorremmo la mamma ma caspiterina siamo all’asilo e la mamma non c’è. Eccoci a fare i conti con il principio di realtà. E addio al principio di piacere.
Felicità come scelta personale
Riprendendo quelle due categorie di significato (assenza di ostacoli/risoluzione di ostacoli), Bauman sottolinea la soggettività del termine “felicità”, che per ognuno è diverso e che dipende da una scelta personale vederlo in un modo o in un altro. Scelta “libera”… più o meno però. Perché tutti noi facciamo i conti con due fattori della vita umana che ci influenzano e condizionano.Il primo è dato dal destino (o fato), che non dipende da noi e che non possiamo influenzare (ad esempio la fortuna di essere nati in un Paese ricco rispetto ad un Paese povero; mettiamo un attimo da parte tutte le considerazioni sulla ‘legge dell’attrazione’). L’’altro fattore che ci condiziona è dato dal nostro carattere, su cui invece possiamo lavorare per migliorarlo e cambiare ed è grazie a questo che possiamo agire nella realtà operando scelte (scelte sempre basate però su un qualcosa che ci è dato dal “destino”).
Destino e carattere

Come sociologo poi Bauman si domanda quali possono essere le cause della felicità o dell’infelicità considerando che sia il nostro destino sia il nostro carattere sono influenzati dal tipo di società in cui viviamo e a tal proposito fa riferimento alla paura dell’inadeguatezza, in una società nella quale il confronto con gli altri è a portata di click e dove in tempo zero possiamo sbirciare nelle case e nelle vite di qualsiasi persona di successo, mossi (questo lo scrivo io) dalla pretesa di poter diventare tutti dei “VIP”, degli influencer. Sono frequentissimi i profili in IG di giovani/giovanissimi senza competenze, senza studi, senza qualche “dote particolare”, che cercano di vendere nei social la propria immagine: begli scatti, colori giusti… e stop. Stop perché per questi giovani non c’è nulla, oltre l’immagine, da poter proporre al mercato.
A tal proposito Bauman usa una formula estremamente concisa per descrivere lo stile di vita dei nostri giorni:
«Comprare con i soldi che non si sono guadagnati cose di cui non abbiamo bisogno per fare una buona impressione – che non durerà – a persone di cui non ci importa nulla».
Z. Bauman
Wow. Non so voi ma io sono rimasta senza parole: è la descrizione esatta dei nostri giorni. Anzi, non totalmente esatta, sfortunatamente, perché sempre di più quel “a persone di cui non ci importa nulla” ha acquisito negli anni un potere di vita o di morte. Si tratta dei followers, dei seguaci, di chi commenta, di chi clicca o meno il suo like. Caspita, quanto potere diamo a questo pubblico virtuale! Così tanto potere da far prendere alla nostra vita una piega anziché un’altra proprio per assicurarci il pollice alto, la popolarità.
Se solo i grandi del passato potessero tornare e parlare…!! Mi domando cosa potrà mai nascere di buono da menti che non stanno lavorando e producendo nulla di nuovo e su questo penso che se tutti i giovani avessero la mente della Ferragni non mi vergogno a dire che ipotizzo ci potremmo ritrovare in una realtà dove tanti giovani diventano imprenditori di e in qualcosa… invece abbiamo troppi giovani che tentano di copiare – male – altri, senza averne gli strumenti e nemmeno la voglia di farsi il “mazzo”
Sicuramente, continua Bauman, il mercato e la Società non ci aiutano a stare bene anche perché un mercato “consumistico” per ottenere il suo obiettivo (farci comprare) deve prima di tutto farci sentire carenti, bisognosi sempre di qualcosa di diverso e di nuovo e, di conseguenza, sempre insoddisfatti. Ho comprato l’iPhone X! Oddio. Tra un mese esce l’iPhone 11. Ho comprato l’aspirapolvere Folletto! Mannaggia. Adesso c’è il Dyson che è migliore. E così via. L’insoddisfazione crea il desiderio e lì il Mercato pesca i suoi acquirenti.
La paura da cui cerchiamo du fuggire
Andando ancora oltre con le riflessioni, Bauman identifica un altro virus velenoso della nostra epoca usato dal Mercato per cogliere le sue vittime: la solitudine.
Non è un caso se Facebook ha avuto e continua ad avere così tanto successo: ha colto il bisogno delle persone di non-sentirsi-sole.
Attenzione, lo riscrivo: non sentirsi sole. Questa frase non equivale a “essere in relazione”. Sottolineo questo aspetto perché è proprio questo che Zuckerberg ha colto: le persone, oggi, hanno un’enorme paura di essere sole, abbandonate, senza amici, ma al contempo non sono in grado di relazionarsi e di giocarsi, nella relazione, anche la frustrazione che i rapporti danno, il scendere a compromessi con i bisogni dell’altro, non tenendo conto solo dei propri, cosa che nel mondo virtuale invece non succede mai.
Non ho voglia di continuare la conversazione? Evito di visualizzare. Non rispondo. Mi metto offline. Rispondo quando ho voglia. Insomma: vogliamo le relazioni, ma quelle a comando. Ed è proprio quello che il virtuale oggi ci permette di fare!! E alla fine, rimaniamo solitudini in finte e vuote relazioni fatte di nulla.
E quindi, dove trovare la felicità?
Peccato che, alla fine di tutte queste parole, la conclusione rimane sempre e solo una: l’essere umano è un “animale sociale” che ha bisogno di vivere nelle relazioni, in vere, fatte di carne e di ossa e che la felicità non risiede nel mondo virtuale ma in contatto con le altre persone. Dice Bauman:
“La felicità non risiede soltanto nello scambio di baci, questa è la parte più facile, ma sta anche nel litigare animatamente con gli altri, nelle discussioni, nei tentativi di negoziazione, nei litigi, nel provare a capire le ragioni dell’altro. Ecco dove comincia la felicità. Se non dovesse partire da qui, allora credo che non abbia grandi chance di esistere nella società contemporanea.
Z. Bauman
Per te cosa è la felicità? Fammelo sapere commentando questo articolo!
© DR.SSA ILARIA CADORIN
Psicologa n°9570 Albo Psicologi del Veneto