È domenica mattina. La finestra dello studiolo che ho in casa è aperta e da questa, assieme all’arietta fresca che sta caratterizzando questi primi giorni di giugno, arrivano anche i rumori del traffico e le voci di gruppi di ciclisti diretti probabilmente sul Montello.
Per quanto ancora si sentano gli effetti della pandemia che da un giorno all’altro ci ha stravolto le giornate e, sfortunatamente per molti, che ha sconvolto anche le vite di chi ha perso familiari o amici che senza questo Covid-19 sarebbero stati “qui” ancora un po’, in tantissimi altri si sta facendo strada sempre di più la sensazione che tutto stia ritornando alla “normalità”, la nostra normalità di sempre (anche se con una mascherina addosso o a portata di mano!).
Reazioni alla ripresa dopo il lockdown
Dopo due mesi abbondanti di chiusura e rallentamento di molte attività della comune routine, quello che da clinica ho notato nelle consulenze con i miei pazienti è stata la diversa, e quasi “opposta”, reazione di fronte alla ripresa. Se c’era chi bramava di riprendere immediatamente la vita “di prima”, così come l’aveva dovuta interrompere, con le uscite e gli impegni che scandivano le proprie giornate, altri invece si sono trovati quasi spiazzati di fronte alla prospettiva di uscire dal lockdown. Si è parlato infatti moltissimo di “sindrome della tana”, una formula tratta da uno degli ultimi racconti di Kafka intitolato “La tana”; in questo, Kafka descrive l’ossessione del protagonista nel costruirsi una tana perfetta, un rifugio sicuro in grado di proteggerlo da tutti i nemici e, quindi, dalle sue angosce e paure.
Ma perché è stata associata questa “sindrome della tana” al nostro post-lockdown? Perché la chiusura forzata nelle proprie case ha permesso a molti di vivere e godere di tempi, spazi e relazioni che nel tran-tran della quotidianità si erano persi. Durante i colloqui telefonici con i miei pazienti, era frequente sentire frasi come “Ma sa dottoressa che io me la sto godendo proprio questa quarantena”, “Mi piace stare a casa! Finalmente ho modo di dedicarmi a tutto ciò che mi piace e che, a causa della vita frenetica, ho dovuto tralasciare”, “Non voglio che finisca questo periodo, mi ci sono trovato davvero bene”. C’è chi si è dato alla cucina, chi alla lettura, al riposo, chi alla cura del proprio corpo con l’home-fitness, chi alla pulizia di casa e riorganizzazione di spazi, al giardinaggio, alla coltivazione dei propri hobbies abbandonati da tempo nel cassetto del “quando avrò tempo”.
Ecco: il tempo c’era, lo abbiamo avuto e ci siamo occupati della nostra “tana”, l’abbiamo abbellita, curata, apprezzata, rivalutata e rivalorizzata.
Questa dinamica ha una spiegazione psicologica: nel momento in cui ci vengono tolte delle libertà, cerchiamo di trarre il meglio da ciò che abbiamo, anche quando le condizioni sono molto sfavorevoli. Pensiamo a chi, come Silvia Romano, si ritrova prigioniero in terre straniere: o mi adatto – internamente, profondamente – e cerco di sopravvivere, oppure crollo.
Con il 4 maggio, giorno da cui è stato possibile vedere i propri “congiunti”, il 18 maggio, data di ripresa del commercio al dettaglio, e il 3 giugno, momento in cui sono stati di nuovo possibili gli spostamenti interregionali, in assenza di “comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute”, l’ansia in molti rimane.
Sicuramente in tantissime persone c’è ancora forte la paura del contagio e l’angoscia non solo di ammalarsi, o che stiano male i propri cari, ma anche di ritrovarsi limitati, come è stato in marzo e aprile. È forse in queste persone che la “sindrome della tana” si manifesta in maniera più forte perché, di fondo, sono portate a chiudersi di fronte al ritorno alla normalità o, se questo non può essere ritardato, comunque a viverlo con forte preoccupazione e angoscia.
Vivere una realtà equilibrata anche post lockdown
Come psicologa però sono portata a muovermi anche su altri piani di pensiero e di riflessione: la scoperta della “tana”, di un ritmo e tempo diversi da qualsiasi momento storico, non ci ha permesso forse di ricontattare una realtà, tutt’altro che patologica, ma profondamente sana ed equilibrata?
I casi di disturbi psicosomatici nella nostra società sono alle stelle: il corpo comunica la sofferenza di ritmi estenuanti, di impegni e tensioni di cui ci si sovraccarica e dai quali non si può scappare. Ed ecco le gastriti, i mal di testa “da weekend”, la cervicalgia, le eruzioni cutanee… E che dire dell’insonnia o di tutti quei comportamenti disfunzionali legati allo stress, come il mangiare velocemente, il vivere tutto di-corsa, o l’avere un respiro mai pieno, calmo e profondo ma sempre veloce e ansioso?
Il lockdown è stato il primo grande “STOP” che si è presentato nella nostra vita: non eravamo noi fermi in un mondo che corre, ma era il mondo stesso ad essersi fermato e, facendo questo, ci ha legittimati a fare altrettanto. Toglierci le scarpe, metterci comodi, aspettare e, nel mentre, VIVERE.
È quindi possibile continuare a vivere tenendo stretto il buono che questo lockdown ci ha regalato e che quindi appartiene ad un modo nuovo, e sano, di vivere il tempo che abbiamo?
© DR.SSA ILARIA CADORIN
Psicologa n°9570 Albo Psicologi del Veneto