SMART WORKING AI TEMPI DEL COVID-19

Qualche settimana fa, la redazione de Le Iene mi ha ricontattata per chiedermi un parere psicologico in merito allo smart working in vista di un servizio sui pericoli informatici ad esso sottostanti. Questo modello di lavoro “da casa” per alcuni non è assolutamente una novità ma anzi rappresenta la propria normalità; ci sono infatti moltissimi lavori, nati in questo ultimo decennio, che si fondano su un lavoro in totale autogestione. Certo è che la maggior parte delle persone con un lavoro “classico”, d’ufficio, proprio in questa situazione “Covid-19”, ha dovuto fare i conti con il modello in smart working.

È vero che ormai, entrati con il 4 maggio nella cosiddetta “Fase 2”, moltissimi hanno ripreso ad essere fisicamente nel posto di lavoro, ma questo non vale ancora per tutti.

Vediamo allora insieme come è stato vissuto lo smart working in questo tempo, quali le implicazioni psicologiche e alcune eventuali strategie da tenere sempre a mente per chi continua a tutt’oggi a lavorare da casa!

Psicologi e smart working

Anche io e i miei colleghi psicologi ci siamo trovati ad affrontare un cambio di prospettiva a partire da marzo 2020. È vero che, rientrando nelle prestazioni sanitarie, avremmo potuto continuare a lavorare sempre in studio, con i colloqui vis-à-vis, ma il buon senso ha portato (spero tutti) gli Ordini regionali di Categoria, a invitare e suggerire ai loro iscritti, nel limite del possibile, di svolgere l’intervento psicologico tramite strumenti a distanza. “Nel limite del possibile” perché ci sono dei casi in cui, in ambito clinico, è stato fondamentale continuare a seguire la persona garantendo l’appuntamento in presenza fisica, ma ammetto che ci siamo tutti molto impegnati per ridurre al minimo questi incontri.

Come tutti, anche noi psicologi abbiamo cercato quindi di adattarci flessibilmente a questa nuova richiesta sapendo che l’obiettivo principale, con i nostri pazienti, era mantenere la continuità terapeutica, a prescindere dal “come” questa avrebbe potuto concretizzarsi.

Ed è ciò che ho fatto io, per cui spesso mi sono ritrovata, e mi ritrovo tutt’ora nonostante siamo ufficialmente in “Fase 2”, ad accogliere virtualmente i pazienti tra le mura della mia casa. Ammetto che il cambiamento non è stato inizialmente facile anche perché, in un mondo che varia costantemente, il setting stabile della terapia è uno degli elementi fondamentali che contribuisce a restituire contenimento al paziente, a dare punti saldi e certi. Ora il setting è diverso: non c’è la mia scrivania, non ci sono le due poltrone, la chaise-longue alla mia sinistra, non ci sono i fazzoletti al lato del paziente.

Ma oltre al contesto differente, la fatica di molte persone nell’adottare questa nuova metodologia, è stata legata alla mancanza, in casa, di uno spazio fisico di tranquillità e di privacy necessarie per parlare liberamente, come quando si è fisicamente in seduta. Pochi hanno preferito rimandare, tanti altri invece hanno adottato le strategie più varie, inclusa quella di stare chiusi in macchina, per avere quella serenità fondamentale per viversi il momento di consulenza.

Come psicologi, cosa c’è stato di diverso rispetto a prima?

Rispetto al nostro lavoro in presenza, la seduta tramite telefono ha comportato la perdita di più del 50% di aspetti e informazioni legate alla comunicazione, ovvero tutta l’area del non-verbale, quindi le espressioni del viso, la gestualità, la postura, che sono elementi fondamentali di cui tener presente in una consulenza.

Ma della comunicazione fanno parte anche i silenzi, elemento preziosissimo in un tempo che tende a fagocitarci nella miriade di stimoli in cui siamo immersi e dai quali siamo attratti. Se in seduta vis-à-vis i silenzi sono vissuti come parte fondamentale della consulenza psicologica, ora, telefonicamente, è come se si sentisse il bisogno di colmarli di parole, di far sentire all’altro che siamo in linea, che lo stiamo ascoltando.

Un’altra differenza rispetto al lavoro in studio, è connessa ai tempi di preparazione ed elaborazione. Se consideriamo che la terapia inizia quando saliamo in macchina per andare in studio e piano piano termina quando si ritorna nella propria quotidianità (in realtà continua per tutta la settimana), il fatto di svolgere la seduta in modalità telefonica porta spesso i pazienti a non avere il tempo necessario né prima della seduta, per riorganizzare un po’ i pensieri e dolcemente entrare in modalità introspettiva, né dopo la seduta, per lasciar mantecare (e uso appositamente questo termine prettamente culinario) i contenuti e le riflessioni che sono emersi.

Però… di necessità virtù

Ammetto comunque che, a distanza di due mesi dalla chiusura, sia io sia i miei pazienti stiamo trovando quasi familiare questo nuovo approccio, anche perché la mente dell’essere umano possiede l’enorme potere di adattarsi alle situazioni della vita, di reggere, di includerle nella propria realtà.

Questo non toglie che io abbia un gran desiderio di poter rivedere tutti i miei pazienti di persona! 😉

Smart working e genitori

Nei mesi di quarantena è stato frequente per i genitori avere la sensazione che il sistema-famiglia fosse andato in tilt. E in effetti un po’ è stato così: sono venute a mancare le abitudini, i ritmi, i tempi con cui la vita era scandita nella sua “normalità”, fra lavoro dei genitori e attività scolastiche ed extra-scolastiche dei figli… e non è stato facile per molti riuscire a ri-organizzarsi individuando le nuove priorità.

smart working genitori

I genitori lavoratori si sono trovati immersi in mille mansioni: la gestione dei figli 24/24 e del rapporto con la scuola, il lavoro da casa, le call-conference dalla camera o dal bagno per non essere disturbati, la gestione della casa, con le lunghe code ai supermercati e, situazione non poco rara con cui molte famiglie stanno facendo i conti, la cassa integrazione o la perdita del lavoro di uno dei due partner, o di entrambi.

Molti genitori hanno condiviso nei nostri appuntamenti settimanali, la fatica di “educare” i figli in questa nuova realtà, di trovare il modo di dedicarsi a loro con le energie e le richieste che la scuola stava loro proponendo (banalmente non tutti in casa avevano doppio pc da far usare ai figli per le video-lezioni).

Per genitori-lavoratori, l’avere uno spazio e un tempo in cui dedicarsi al lavoro (l’ufficio, l’azienda) li autorizzava ad essere in un ruolo professionale, a staccare per un istante la mente dal ruolo genitoriale, cosa che ora non è più possibile lavorando da casa poiché, standoci fisicamente, il ruolo genitoriale rimane costantemente attivo. Ancor di più per chi ha figli piccoli: per i bambini non è possibile cogliere che il genitore a casa può non essere presente per loro e questo può portarli ad agire con aggressività e rabbia per richiedere le attenzioni che vorrebbero. Se non si è da soli in casa, come genitori, questo carico di gestione dei figli sarebbe totalmente da condividere con il/la partner.

Smart working e studenti

Come stanno vivendo lo smart working gli studenti? Ovviamente lo smart working per loro si può in maniera più consona chiamare teleditattica o didattica a distanza.

Escluderei dalla riflessione la Scuola Primaria, per la quale la didattica a distanza non è la migliore modalità ai fini dell’apprendimento dei bambini che hanno un enorme bisogno di relazione (lo psichiatra Paolo Crepet in un’intervista ha “ringraziato” il Governo per aver incentivato l’amplificazione non dei “nativi digitali” ma degli “autistici digitali”).

Escludo da questa considerazione anche il settore dell’Università, che vede nei giovani-adulti una maturità comunque maggiore nella gestione del proprio studio da casa (che già prima avveniva anche se soprattutto nella fase di preparazione agli esami).

Le fasce di età in cui la didattica a distanza si è rivelata critica sono in particolare quelle della Scuola Secondaria di 1º e 2º grado. I preadolescenti e adolescenti stanno facendo i conti con la costruzione di una responsabilità rispetto alle proprie scelte e al proprio progetto di vita ed è inevitabile che la maggior parte di essi lasci la presa, una volta tolti gli elementi delle lezioni dal vivo, del confronto diretto con l’insegnante, della responsabilità della propria promozione o bocciatura (“tutti promossi”, è stato definito già ad aprile). Spesso sulla didattica a distanza prevalgono soprattutto la noia e la frustrazione di non avere più il contatto con un elemento vitale e fondamentale per i giovani: la socialità.

Smart working e implicazioni psicologiche

Difficile, se non impossibile, generalizzare sulle conseguenze e l’impatto a livello psicologico dello smart working e questo perché molto dipende dal carattere e dall’atteggiamento della persona ma anche dal tipo di vita che si ha, se si vive da soli, in coppia o in famiglia. Possiamo ipotizzare, infatti, che la riorganizzazione della vita in questa condizione, per un single sia meno complessa di quella di un lavoratore con famiglia, ancor di più a fronte della chiusura delle scuole.

Però, a prescindere da questo, è da molti condivisa la sensazione che lavorando da casa svanisca il confine fra la sfera personale e quella lavorativa.

C’è sicuramente chi, lavorando da casa, si ritrova a vivere la fatica di “staccare la spina”, per cui rimane sempre con una parte della mente sul lavoro e sul pc acceso senza riuscire a darsi uno “stop” e dei tempi. Questo può comportare un senso di alienazione, la percezione di essere molto stanchi, demotivati, totalmente bisognosi di un ricircolo non solo di aria “fisica”, legata al cambio degli spazi, ma anche di aria mentale, connessa invece all’alternarsi delle attività della vita personale, e non lavorativa.

In altri la sensazione di dover essere sempre raggiungibili e reperibili crea una grande ansia da prestazione, come se ci si sentisse in dovere di fare “di più” di quanto si farebbe se si fosse fisicamente a lavorare in ufficio/azienda. Inoltre, l’ansia che si prova è legata anche al sentirsi addosso delle responsabilità maggiori vissute come un grande peso.

Generalmente le persone che affrontano la vita avendo come ottica il mettersi in discussione cercando di cogliere maggiormente gli aspettavi positivi rispetto ai negativi, sopporteranno meglio questa realtà trovandone tutti i vantaggi, come l’evitare di perdere tempo nel traffico degli orari di punta! In questa situazione, a differenza delle persone soggette all’ansia da prestazione, beneficeranno proprio della percezione di quel senso di fiducia e responsabilizzazione legato alla gestione in autonomia del proprio lavoro.

Chi invece ha la tendenza a ricercare le sicurezze, la stabilità, i confini ben definiti, potrebbe aver patito di più l’instaurarsi nella propria vita del modello di lavoro in smart working.

Un elemento però comune a molti, e che spesso i miei pazienti mi hanno riportato durante le sedute in questo mese e mezzo di quarantena, è che un lavoro in smart working porta a concentrarsi maggiormente sulle attività a discapito delle relazioni, portando il lavoratore a sentire un gran senso di isolamento e di perdita del senso di gruppo.

È indubbio che la modalità di lavoro in smart working richieda una buona dose di adattamento perché comporta sia l’apprendimento di competenze nuove in un contesto lavorativo insolito, sia una riorganizzazione nella propria vita con spazi e ritmi diversi, magari anche con bambini in casa.

Insomma, non c’è da discutere sul fatto che lo smart working rappresenti per molti una sfida enorme.

Consigli per gli smart workers

  • MANTENERE LA ROUTINE
    Cercare, per quanto possibile, di mantenere le abitudini legate all’orario della sveglia, della colazione e ovviamente dell’orario di lavoro (per chi ha figli mantenere anche il momento del mattino da dedicare alla scuola e allo studio).
  • TROVARE UN LUOGO ADEGUATO
    L’ottimale sarebbe che ci fosse la possibilità anche fisica di avere un luogo in casa da predisporre a piccolo “ufficio”, evitando così di dover adattare il tavolo della cucina a scrivania, ma soprattutto per dare alla mente lo spazio adeguato per la concentrazione e, di conseguenza, custodire spazi liberi in casa per poter staccare.
  • ESSERE SUFFICIENTEMENTE PRESENTABILI
    Lavorando da casa si tende a “lasciarsi andare”, a non sentire la necessità di prendersi cura di sé, del proprio aspetto, del proprio corpo, e non solo della propria mente: è importante invece vestirsi e prepararsi, non per forza come se si dovesse uscire, ma almeno da sentirsi sufficientemente presentabili in modo tale che anche la mente si predisponga con energia e concentrazione al lavoro, sebbene da remoto.
  • STACCARE
    Imporsi delle pause, anche per defaticare la vista; non pensare di dover fare gli stakanovisti, ma attenzione che le pause non prendano il sopravvento su di voi: vanno limitate, anche facendo uso eventualmente di un timer.
  • PROTEGGERE I MOMENTI DI PIACERE E DI NUTRIMENTO
    come ascoltare buona musica, fare un po’ di movimento, ma anche approfittare della sera per guardare un film o leggere.
  • DEFINIRE E RISPETTARE AREE E MOMENTI INDIVIDUALI
    soprattutto per chi vive in famiglia (non vale per chi ha figli piccoli ovviamente).
  • ALIMENTAZIONE SANA E SONNO REGOLARE
    sono spesso abbandonati ma vanno invece regolarizzati, in quanto aiutano a migliorare la concentrazione e l’efficienza lavorativa durante la giornata;
  • SOCIALIZZARE!
    Non smettere di sentire, scrivere o videochiamare i propri affetti. La socialità è un bisogno fondamentale che va nutrito.

Tu come hai vissuto o stai vivendo il tuo smart working?

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